giovedì 31 luglio 2008

INDIANA JONES AND THE KINGDOM OF THE CRYSTAL SKULLS- INDIANA JONES E IL REGNO DEL TESCHI DI CRISTALLO



ATTENZIONE: siccome sono un pazzo e questa recensione tento di scriverla dall’uscita del film nelle sale, ho postato insieme alla recensione definitiva (che non mi lascia comunque pienamente soddisfatto) un altro abbozzo di recensione mai conclusa (e con un tono molto più polemico).
In saccoccia ne tengo un’altra ancora non conclusa ma per quella aspetterei ancora un poco dato che riguarda l’intera saga.
Sicuro della loro inutilità e del peso infinito di una lettura del genere, vi invito a leggere solo questa cosa qui sotto se non volete seguir la mia mente malata mai soddisfatta!
Per quanto riguarda la prossima recensione invece, è già pronta e si tratterà molto probabilmente di una recensione doppia del cavaliere oscuro (vedrò se la mia parte mi soddisfa altrimenti tutto è già nelle mani di Leo!)

Le promesse sono promesse.
“Come quella volta che il mio ragazzo scrisse la recensione di Indiana Jones”


Ora la febbre è passata.
Quella che voleva gli infiniti fan accalcati davanti allo schermo del proprio pc alla ricerca della più piccola notiziola riguardante il loro eroe archeologo dal momento in cui si annunciò l’effettiva realizzazione del sequel dei sequel è scemata.
Finalmente.
E finalmente con il calo delle attenzioni fanatiche se ne può parlare quasi con calma.
No.
Parlare dell’ ultimo Indiana non sarà mai come parlare di un film qualunque.
Ci sarà sempre chi, deluso rispetto ad aspettative verso l’infinito e oltre, verrà a dirmi che poteva essere fatto tutto in modo migliore.
Ci sarà ancora chi si lamenterà della trama ripresa dal videogioco, chi mi ricorderà che gli alieni non possono starci in Indiana Jones, chi se la prenderà con le marmottine e le scimmiette in Computer Graphic, chi avrà da ridire su Shia Le Boeuf, chi ce l’avrà con la fotografia irreale, chi si incazzerà perché Indiana usa la frusta tre volte in tutto il film, chi inveirà contro il doppiaggio di Cate Blachett, chi puntualmente si lamenterà di Spielberg che secondo lui non ne azzecca una da anni, chi senza nessun ritegno si lamenterà di tutto perché tanto fa tutto schifo e adesso torno a vedermi i primi tre capolavori che sono intoccabili e poi magari tra 10 anni quando uscirà un nuovo capitolo tornerò a vedermi questo e dirò che quello nuovo non è minimamente paragonabile ai primi 4.
Ci saranno ancora tutti.
Ma forse tutti la prenderanno con più calma.
Non si butteranno come avvoltoi alla ricerca della recensione capace di dire che questo rimane un ottimo film per distruggerla pezzettino per pezzettino.
Indiana Jones e me.
Cresciuto senza aver mai visto interamente uno dei primi tre capitoli della saga fino a pochissimo tempo fa non capirò mai quel che si prova, almeno in questo caso.
Nell’entrare al cinema e riveder l’ombra del proprio eroe rimettersi il cappello impolverato dopo essere stato spinto a terra dai nemici in uno degli incipit più carichi di attesa di sempre.

La camera scorre dalla testa ai piedi e il rientro in scena di Indiana porta nella sala sussurri di approvazione o più sane esclamazioni di giubilo.
È ancora lui.
Nonostante tutti gli anni passati nel limbo del non cinema , Ford indossa cappello e frusta e riporta in vita un mito.

Non un semplice personaggio cinematografico come potrebbe esserlo un qualunque Jack Sparrow (anche se c’è quasi da scommetterci che tra 20 anni diventerà mito anche lui) ma un vero e proprio mito intramontabile che porta sulle spalle trent’anni di imprese eroiche tra film, libri, fumetti, serie tv e imitazioni più o meno (meno, sempre meno) riuscite.
Un mito cinematografico degli anni 80.
E questo ci tengo a ribadirlo perché molte delle lamentele hanno inizio e fine proprio in questo.
Nella semplice quanto inutile disquisizione sul fatto che il nuovo Indiana non è come il vecchio.
Quasi per niente.
Là dove il primo archeologo iniziava le sue vicissitudini come un semplice avventuriero dotato di pistola (poi sapientemente abolita nei capitoli successivi) e frusta memore dei film d’avventura degli anni ’50 per poi trasformarsi in modo graduale in una sorta di eroe pop-quasi fumettistico degli anni ‘80 (con tutte quelle botole, passaggi segreti e personaggi tipicamente ottantiani come lo sciamano che strappa i cuori a mani nude o il cavaliere immortale), il nuovo Indiana diventa qualcosa di più di un eroe da fumetto.
Diventa un mito.
Ovvero compie la trasformazione sullo schermo che la mente dei bambini dell’epoca ha già attuato da 20 anni a questa parte.
Il nuovo Indiana è diverso quindi.
Ovviamente si potrebbe dire, se non fosse per l’attaccamento ossessivo e ingiusto che i vecchi bambini hanno per il vecchio Indiana.
Loro vorrebbero semplicemente il vecchio Jones riportato sullo schermo come un tempo.
Loro vorrebbero semplicemente che il cinema non fosse cresciuto con loro.
Vorrebbero ancora quelle caverne con pareti di cartongesso (per quanto Spielberg già allora si impegnò a non farcele vedere, ma di questo parlerò in seguito), quegli effetti così spartani eppure tanto affascinanti, quelle riprese che facevano dei primi tre Indiana un cult del cinema anni ’80.
Non c’era computer graphica in quegli anni.
E così ecco tutti a scagliarsi contro qualsiasi intervento in CG a prescindere dal risultato finale.
Non importa che questo sia minimo e ben curato, il fatto che ci sia, che si sia fatto ricorso al femputer (chi vuole cogliere la saggia citazione la colga) toglie fascino.
O almeno toglie fascino a quegli occhi che non vogliono andare oltre.
Che volevano per una volta (e solo per quella volta dato che in altri film dello stesso genere le osservazioni su una CG ben fatta sono ormai insignificanti) tornare indietro.
Il nuovo Indiana è quindi diverso perché si, nonostante tutto quel che uno può pensare, siamo nel 2008 e perché Indiana in quanto mito compie imprese mitiche.
Non più avventure fantastiche entro cui tutti possono immaginarsi (chi non avrebbe voluto saltellare tra un trabocchetto e l’altro all’interno di un tempio maledetto?) ma semplicemente mitiche.
E così le cascate da affrontare si moltiplicano e i luoghi segreti sono praticamente inaccessibili se non inesistenti.
E così Indiana salta per aria all’interno di un frigorifero in seguito all’esplosione di un ordigno atomico senza farsi assolutamente nulla e i vecchi fan li riconosci al cinema per un fastidiosa ondata di “Eeeeehh, ma vaaaaa, ma daaaaiii, ma smettiamola!!!”
I vecchi fan che tanto volevano ritornare bambini rientrando in sala con il loro mito non si rendono nemmeno conto di tradire con le loro esclamazioni le loro stesse intenzioni.
Nessuno di loro negli anni ’80 avrebbe aperto bocca di fronte a Indiana e company che volano giù da una cascata con un canotto rimanendo praticamente illesi ma oggi, nel 2008, ormai cresciuti si sprecano nuovamente gli “eeehhh, ma vaaa!!!” che mostrano una realtà dei fatti innegabile.
Non sono più bambini.
E tristemente molti di loro non riescono nemmeno ad esserlo per 2 ore.
Molti.
Non tutti.
Perché c’è chi ancora vuole farsi prendere per mano da Spielberg.
C’è chi ancora si fida di quel vecchietto barbuto che ormai da 30 anni è capace con una camera e tanta tanta magia di trasportarci aldilà dello schermo.
Aldilà di fotografia, montaggio, computer Graphica, pareti di cartongesso, doppiaggi, interpretazioni e chi più ne ha più ne metta, Spielberg ancora riesce a portare qualcuno di quei vecchi bambini di là con Indiana, nella sua avventura più fantascientifica e, se vogliamo, mitologica là dove il mito è ormai il consumato archeologo e non più l’oggetto ricercato.
Li riconosci dalla bocca aperta, lo sguardo fisso e orecchie solo per lui quei bambini dentro.
Li riconosci perché loro ancora ci credono.
Potrei parlare di una fotografia forse fin troppo perfetta, di un Shia Le Boeuf ormai inarrestabile, di una Karen Allen di cui sono sempre stato innamorato da bimbo e che quindi ritengo intoccabile, di una Cate Blachett che ritengo al contrario di molti un personaggio non troppo riuscito ne particolarmente ben interpretato (non ne posso più di quella straabusata espressione di ghiaccio!), di una colonna sonora ancora perfetta, di un ritmo ma così sostenuto (rispetto agli altri capitoli i momenti di riflessione sono ben pochi, ma anche questo deriva dall’anno in cui è stato prodotto) e di un Indiana Ford per me mai così affascinate.
Potrei dirvi che gli alieni in quanto pellicola ambientata negli anni ’50 e girata da un certo signor Spielberg ci stanno.
Eccome.
Potrei raccontarvi di una seconda visione che invece di smorzare l’entusiasmo mi ha fatto ricredere persino su marmottine, scimmiette e frighi vari.
Potrei parlare di una scena di chiusura tanto affascinante e esplicativa quanto quella di apertura.
Indiana Jones è un mito.
Ed è una sola persona come ci insegna il finale.
La vita, in definitiva, è solo una questione di aspettative non siete d’accordo?
Forse 20 anni sono troppi persino per Indiana.
REGIA: Steven Spielberg
GENERE: Avventura
ANNO: 2008
VOTO: 7/8



ALTRO ABBOZZO DI RECENSIONE:
Ma si.
Critichiamolo.
E la storia è scopiazzata dal videogioco.
E Karen allen sembra in bambola per tutto il film.
E Shia Le Boeuf mi sta sulle palle e cosa c’entra?
E Harrison Ford è vecchio.
E Sean Connery dov’è?(se Ford è vecchio Connery è già in putrefazione…)
E si vabbè ma quando la usa la frusta?
E il teschio sembra che abbia del cellophane dentro.
E dai, gli alieni, ma per favore.
E il frigo che schifo.
E le marmotte e le scimmiotte in computer graphica, maledetterrimo Lucas.
E la fotografia rende tutto più finto.
E io mi aspettavo di più.
E io mi aspettavo di meno.
E io mi aspettavo quel che c’era sullo schermo ma non va bene lo stesso che se non mi lamento non sono felice e il mio ego rimane insoddisfatto.
Eccheppalle.
Ne ho lette, sentite, viste, odorate (e non dico cosa) talmente tante che alla fine mi era quasi passata la voglia di scriverne.
No.
Non che non sapessi cosa scrivere, semplicemente me ne era passata la voglia.
A sentir gente che si lamentava di tutto.
Tutto.
E tutto nel modo più detestabile che ci sia: quello del lamentarsi per il gusto di lamentarsi.
Perché alla fine si tratta solo di quello.
Il cercare ad ogni costo, in ogni cosa, in ogni momento qualcosa che non va.
Gente evidentemente convinta di andar a vedere il nuovo capolavoro postumo di Kubrick dopo quella chiavica mondiale di “Eyes Wide Shut”.
Ma si.
L’ho detto.
A me Eyes Wide Shut fa cagare.
Ma non poco.
Tanto.
Ma tanto di quel tanto che alla terza volta che l’ho rivisto convinto di capirne ancora qualcosa di cinema mi sono detto: “Non ne capisco un cazzo e sto film fa cagare. Tanto cagare.”
Tanto che alla fine della terza visione giacevo addormentato felice di essermi perso per la terza volta due tra le interpretazioni più imbarazzanti di Nano Cruise e Bambola di cera Kidman.
Tanto che quando mi sento dire non per la prima volta che Indiana Jones non poteva sopravvivere a una bomba H o quel che è solo chiudendosi in un frigo mi chiedo se davanti ho una carota o sto davvero ancora parlando con un uomo.
“Eh ma gli alieni dai…in Indiana Jones!”
Ma gli alieni si.
Si si e ancora si.
Gente convinta di trovarsi davanti Piero, Alberto and family Angela all’entrata in sala dato che la metà dei lamenti alla fine si risolveva in un : “Non è possibile!!!” o semplici “Eeeeeeehh”
Ma “Eeeeehhh” le palle.
Ma quando bimbi guardavate un cuore strappato da un petto dicevate “Eeeehhh”?
“Eh ma sai i riti segreti ci potevano anche stare.. gli alieni no. Il frigo no.”
Così, per partito preso.
Senza una reale motivazione.
Perché gli alieni no.
Punto e basta.
E perché i personaggi nuovi no.
Shia Le Boeuf fa un signor lavoro ma no.
Vuoi mettere Sean Connery?
Vuoi mettere il primo Indiana Jones.
Vuoi mettere che siamo nel 2008.
Ma nessuno sembra volersene rendere conto.
A sentir tanti il nuovo Indiana Jones doveva essere semplicemente un nuovo Indiana Jones degli anni 80.
Voi vi immaginate un ragazzino di 13 anni che entra in sala oggi e si trova davanti di nuovo quelle care vecchie rocce di polistirolo (e attenzione non sto criticando, sto solo dicendo che erano di evidente polistirolo) e quei bei fotomontaggi tanto cari a quegli anni?
“Eh ma noi che siamo fan di Indiana l’avremmo capito…”
I fan di Indiana.
Che io ne conosco solo uno e quell’uno in sala aveva la bocca spalancata e gli occhi sognanti.
C’erano solo lei e Indiana in quella sala.
Non il pirla che diceva “Eeeeehhh” e nemmeno il tredicenne che purtroppo a fine pellicola urlò “Andiamo a casa a giocare alla Play!”
I finti fan di Indiana che si lamentano di ogni cosa.
Di uno Spielberg capace di riportare sullo schermo il vecchio Indiana Ford come solo lui avrebbe potuto fare.
Prendete qualsiasi nuovo film sulla falsariga di Indiana e provate a dargli un occhio, 10 minuti vi possono bastare.
Guardate quel pasticcio tecno-silicon-avventuroso di Tomb Raider, l’ironicissimo “La mummia”, quel pelatone di Cage perso nei suoi misteri folli e guardate quanto polistirolo.
Quanto schermo impenetrabile avete davanti a voi.
Prendete un qualsiasi Indiana compreso l’ultimo e perdetevi dentro.
Niente camera che segue Ford nei panni di Indiana nelle sue avventure.
Siete voi e il professor Jones nel tempio più nascosto, di fronte all’Arca dell’Alleanza, con il Sacro Graal davanti agli occhi, alla ricerca di un teschio di cristallo appartenente a chissà quale popolazione.
Spielberg la camera ce la mette dentro agli occhi.
O almeno.
Lui vorrebbe portarci con lui nei suoi sogni.
Basta lasciarsi prendere per mano da quell’adorabile vecchietto e perdersi con lui senza far tante storie.
Senza star li a tirare dalla parte opposta e dire: “Ma no, non è possibile, perché, per come, per quando???”
..........................................INCAPACE DI DARGLI UN SEGUITO.

martedì 22 luglio 2008

SFOGO: THE DARK KNIGHT- IL CAVALIERE OSCURO

SU, SU, ODIATEMI!
Sarà che sti quindici giorni vanno più lenti di quanto potessi immaginare e riesco a innervosirmi per ogni cosa....

Ah non è ancora uscito?
Bene.
Perché io ne ho già le palle piene.
Ma non poco.
Non “Ne ho le palle piene” che poi mi metto ancora a vedere il trailer perché ancora un poco mi incuriosisce.
No.
Ne ho proprio le palle piene.
Che quando passa il trailer in tv su Italia 1 cambio.
Non ne posso più.
Ma proprio più.
Di vedere “IL CAVALIERE OSCURO” ovunque, comunque e semprumque.
E giri sui siti di cinema e ti parlano del cavaliere oscuro.
Di quanto è bello, di quanto è figo, di quanti record ha battuto.
Sono 8, no 9!
Attenzione giovedì batte il decimo record.
Ah be.
Notiziona.
Di quelle da tenere in prima pagina per mesi.
Il Batman di Nolan.
Il seguito di Batman Begins.
Quello dove c’era la consorte risata storta di Cruise che non faceva un cazzo per tutto il film.
Quello che il cattivo era uno spaventapasseri che persino il cattivo interpretato da Shcwarzenegger in quel baraccone del film di Schumacher si faceva ricordare di più.
Eh ma era oscuro e poi era un signor film.
No.
Non era un signor film.
Era semplicemente che veniva dopo il circo di Schumacher che ci mancava solo che metteva le scrittone Bang e Sbem e rifaceva il telefilm degli anni ’60.
O ’70.
Quel che era.
Non me ne frega un cazzo e non ho voglia di documentarmi.
Ho solo voglia di lamentarmi di quanto non ne posso più di sto cazzo di cavaliere oscuro delle palle e di tutti i suoi recordoni storici.
Forse uno dei film più gonfiati già prima di uscire che io abbia mai visto da quando son nato.
Ha battuto tutti i record!
Ma cazzo è 6 mesi che spaccate le palle in ogni modo: e il teaser poster e il poster vero e l’immagine del dietro le quinte e la maschera e il costume e il teaser trailer e il trailer e lo spot tv e il secondo spot tv e i quindici spot tv e il trailer italiano e quello in ungherese che attenzione c’è un immagine in più e il virale e il virale del virale e Due Facce e poi c’è lui ovviamente.
Joker.
Heath Ledger.
Con gente che senza neanche aver visto il film, senza neanche aver visto una miserrima scena che non sia il trailer vuole dargli l’Oscar.
E quindi via con altre mille coglionate.
E l’Oscar postumo, e Heath era grande e Heath era Marlon Brando e povero Heath e adesso ci facciam un film (voglio vedere se ci metton pure che ha girato "Il destino di un cavaliere"….) e Heath è il vero Joker e quel ruolo porta rogna (infatti Jack Nicholson guardalo come se la passa male…) e Heath di qui e Heath di la….Che Batman ha battuto ogni record!
Non lo sapevate?
Che a forza di dire battiam tutti i record è logico che la gente poi ci va a vedere sto benedetto cavaliere oscuro e finalmente li batterete tutti i record.
E poi la smetterete di smaronarmi la minchia finalmente.
Undicesimo record: avete spaccato le palle a Deneil come mai è riuscito a fare nessun altro film.

venerdì 18 luglio 2008

THE HAPPENING- E VENNE IL GIORNO

ATTENZIONE ATTENZIONE: Deneil pubblica una nuova recensione cinematografica dopo quasi due mesi!

La verità è che questo film fa cagare.
La verità Shyamalan è che se ti viene una buona idea e non sai scrivere una sceneggiatura non devi per forza scriverla.
Non devi per forza di cose nel tuo delirio di onnipotenza produrre, girare, recitare, scrivere, soggettare e chissà quale altra diavoleria in tutti i tuoi film (se potesse secondo me creerebbe dei piccoli omini Oompa Loompa a sua somiglianza e non ingaggerebbe più nessuno a recitare!)

SHYAMALAN ALLA CONQUISTA DEL MONDO...
Hai una buona idea ma non sai come svilupparla.
Bene.
Esistono gli sceneggiatori.
Sai.
Quelli che scrivono le sceneggiature.
Quelli che tu gli dici più o meno cosa accade (se hai un soggetto) e loro ti mettono su carta scene e dialoghi.
Poi magari tu le scene le giri come cazzo vuoi dato che ti credi il Dio del cinema sceso in Terra, colui che salverà il mondo da Uwe Boll e compagnia, ma almeno avrai dei dialoghi.
Quello che si dicono gli attori.
Quelle cose preparatissime, studiate e ristudiate a memoria dagli attori ma che devono sembrare comunque realistiche.
Del tipo:
Tizio:“Vuoi una percentuale di sopravvissuti?”
Caio:“Si, la voglio!!”
Tizio:“65%!”
Caio:“Vai a riprendere tua moglie!!!”
Ecco questo non è un dialogo!
È merda.
È come se uno al telefono con un'altra persona ad un tratto non sentisse più l’altra e dicesse: “Sento il vento!”
Ops!
Ci hai messo anche questa.
E con orgoglio.
“SENTO IL VENTO!”
Ma sento il vento de che?
Ma stiam scherzando?
Ma quale malato nel cervello direbbe mai al telefono: “Sento il vento” quando dall’altra parte non c’è più nessuno?
Magari proverebbe a richiamare l’altra persona più volte ma “Sento il vento” no!
Ma no no no.
È offensivo.

È come se uno ad un certo punto si mettesse a parlare con una pianta di plastica e poi accortosi dell’errore esclamerebbe “Oh mio Dio sto parlando con una pianta di plastica!”
Noooooo!
Con una pianta di plastica???
E io che ti credevo così intelligente perché stavi parlando con una pianta vera.
Sai quelle con le foglie, le radici…
Senza le orecchie.

PIANTA CON GLI ORECCHIONI...OK QUESTA è PESSIMA...
Neanche nei film apocalittici.
Non è che uno dice: “Giro un film apocalittico e ci metto qualsiasi minchiata mi viene in mente, tanto è apocalittico”
No.
Non funziona proprio così.
Ok è apocalittico e non sarà “La vera storia della guerra in Uzbekistan vista dagli occhi di un Uzbekistaniano cieco e senza mani” ma non è una gara a metterci tutte le minchiate che ti vengono in mente in quel momento.
Potevi farlo ne “Il sesto senso”, “Signs”, “Unbreakable”, “The village”, “Lady in the water”.
Potevi farlo in 5 film perchè eran tutti dei film sostanzialmente di pura fantasia.
Però basta.
In un apocalissi non ci sono villaggi segreti, alieni brutterrimi, persone che non si rompono, gente morta che viaggia tranquillamente tra gli umani e nemmeno una ninfa acquatica con relativa piscinetta dove sguazzare.
In un apocalittico ci sono delle normalissime persone che tentano di fuggire a qualcosa che non può essere fuggito.
Non dei manichini rincoglioniti che si esprimono come degli Homo Imbecillus.
Perché alla fine quando esci dalla sala ti ricordi solo quello.
Dovresti pensare alla natura che in un qualche modo si ribella all’uomo, dovresti pensare alla scena magistrale dell’arrivo in città con una marea di corpi impiccati alle piante, dovresti sognar di notte la vecchia pazza che tira testate contro il muro fino a sfondarsi il cranio e invece pensi a Mark Wahlberg e Zooey Deschanel.
Uno che recita alzando, abbassando e, attenzione, aggrottando le sopracciglia in uno dei ruoli meno credibili che gli abbiano mai assegnato (quando è intento a fare il professore ti chiedi se nel mondo intero può esistere un personaggio…una cosa del genere) e l’altra che si aggira davanti alla telecamera spalancando più o meno la bocca e gli occhi a seconda dello stupore.

LE MARK'S ESPRESSIONI!
“OOOOOHHH sono morti!!”
“OOOOOHHH siamo ancora vivi!!!”
“OOOOOHHH mio marito parla con le piante e io sono una merda che l’ho quasi tradito!”

NON è LEI QUELLA IN BASSO A DESTRA???
E l’altro che gli risponde aggrottando le sopracciglia.
“Oh mio Dio mi hai quasi tradito???(Sono abbastanza aggrottate???)
E Shyamalan da fuori che fa:
“Si si non ti preoccupare che tanto della recitazione non se ne curerà nessuno, ho scritto dei dialoghi memorabili io!”

L'ALTRO MARLON BRANDO DELLA SITUAZIONE INSIEME A UNA FIGLIUOLA CHE NULLA PUò IN QUESTO SFACELO...
“E venne il giorno”
Che quando tutti mi dicevano: “Va che è fuffa, va che fuffa, va che è fuffa!” io ancora ci speravo.
Non dico che ci credevo.
Ma speravo si.
Magari non avevano visto bene.
Magari non era stato capito come successe a “Lady in the water”.
Magari non apprezzavano il genere.
Magari semplicemente Shyamalan ha toppato.
Ecco appunto.
Magari Shyamalan avesse toppato.
Magari fosse solo quello.
Qui si parla di un uomo che avuta una buona idea è riuscito a realizzarla nel peggiore dei modi possibili.
Nel migliore dei mondi possibili Shyamalan mi avrebbe illuminato gli occhi.
In questo mi ha fatto solo ricordare che ancora nessuno è riuscito a creare il film apocalittico perfetto.

REGIA:M.N.Shyamalan
GENERE: Apocalittico, Fantascienza, Horror
ANNO: 2008
VOTO: 3,5

mercoledì 9 luglio 2008

THE INCREDIBLE HULK- L'INCREDIBILE HULK

Magari quando un giorno la smetterò di scrivere e cestinare decine di recensioni vedrete che scrivo ancora.
Più del solito.
Forse pretendo solo troppo.
Grazie Leo!

PSICANALISI E SUPEREROI: HULK E IL COMPLESSO DI EDIPO


BY LEO
Tecniche di respirazione. Yoga. Controllo del respiro.
Pranayama.
Inspira, espira.
Abolire gli stadi della coscienza; regolare il flusso della respirazione, scendendo e salendo come onde, per rifiutare il prezzo della vacuità umana, per ottenere una concentrazione totalizzante, l’ekagrata.
Allora, solo quando l’asana –la posizione yogica– sarà non più uno sforzo ma normalità, comincerà la lunga strada verso il samadhi, l’ “enstasi”.
Perché? Perché tutta questa fatica?
Per rifiutare il mondo, per ingabbiare pensiero e corpo, immobilizzarli in un unicum senza più spazio né tempo, per rifiutare l’agitazione del respiro che non viene mai controllato, per –alla fine- superare persino la condizione degli dèi e raggiungere la liberazione in vita: niente più flussi disordinati di sogni, di latenze del subconscio, di pensieri che inondano le strade dell’Io, di illusioni e dolore, di speranza. Solo catalessi.
Inspira, espira.
La vita è “maya” potente, illusione, e squarciarne il velo è priorità per chi è giunto a sapere.
Perché è il respiro il punto da cui partire, il senso della calma e dell’agitazione, della rabbia e del soffio, dell’amore e dell’odio. Al respiro i battiti del cuore sono legati da un doppio filo. Controlla uno, controllerai tutto il resto.
Aria dentro, aria fuori.
Inspira, trattieni l’aria, espira.

Bruce Banner deve imparare a controllare il respiro.
Deve mantenere la calma, deve imparare a controllare “l’Altro” che è in lui.
Perché tutti abbiamo un “altro” chiuso e serrato nella gabbia dell’odio.
L’umanità ha imparato a relegare Prometeo nell’abisso del Tartaro, chiudendo la porta in faccia all’inconscio più animale, bestiale, istintuale, seme un tempo utile della collettività in-umana e ancestrale dei nostri antenati.
Sbattendogli la porta contro, gli è stato impedito di venire a patti, lentamente, con la nostra coscienza.
A quest’ultima abbiamo dato le chiavi della totalità, unica guida capace di guidarci nel mondo. Basta istinti, basta rapimenti estatici, possessioni violente, o anche solo intuizioni primordiali senza analisi.
Non è più tempo di sciamani o di Delfi.
Ordine, rigore, metodo le parole d’ordine più adatte.
Eppure, proprio perché è stato lasciato a marcire nella muffa dei bassifondi, laggiù, non ci si è accorti che la base della casa da edificare sono le fondamenta intere su cui impostare la partenza.
La base è solida, la casa sta su come costruita sulla roccia.
La base è labile, la casa è costruita sulla sabbia.
Quale secondo voi resisterà al primo temporale?
E l’inconscio collettivo è solido, forte come solo il vento sa essere, resistente come la pietra, vivo come fuoco. Da qui angosce moderne che scivolano nelle nevrosi, fobie, da qui drammi familiari, conflitti con padre/madre, problemi uomo/donna, relazioni con l’Altro/gli Altri, e nei casi peggiori, follia irrecuperabile. I pazzi, si sa, sono eterni: un pazzo è più vicino ad un’umanità primordiale di migliaia di anni fa che ad un uomo di oggi. Le fobie sono semi diacronici di paure eterne. Vive.
E la differenza tra nevrotico e psicotico è sottile come un foglio di carta: il nevrotico costruisce le sue manie, il suo castello/mondo di carta; lo psicotico lo abita.
Oggigiorno, con il nostro lifestyle assurdo, chi non è nevrotico? Il passo verso la follia è di pochi millimetri.

Perché l’Altro, a cui non è dato diritto di esistere alla luce del Sole, ce l’abbiamo dentro.
E a volte capita che magari non lo riusciamo a percepire se non proiettato nella persona che odiamo/amiamo. A pelle, ad istinto.

Bruce Banner queste cose le sa.
La rabbia frustrata dell’evirazione immaginaria che il ragazzo subisce secondo la legge inesorabile della pubertà da parte del padre, il ruolo ossessivo e morboso della madre, il “controllo” imposto o lasciato andare sui sentieri beceri del laissez faire, “il ragazzo si farà da sé”, “imparerà cos’è il mondo”.
I genitori credono che si debba imparare da loro anche se “predicano bene ma razzolano male”. Sbagliato; mai insegnamento popolare fu più sbagliato. Le persone sono ciò che fanno. Se il padre è un alcolizzato, inutili saranno parole di sobrietà nella vita civile. Se tradisce la moglie, futili i richiami alla fedeltà coniugale. Se la madre appare troppo acerba, aspra e severa, senza senso i suggerimenti per vivere serenamente un amore adolescenziale.
E il mostro dentro cresce. Lentamente, inesorabilmente.
E vorrebbe prendere il controllo sotto quella cravatta da impiegato, spaccare l’ufficio e i tavolini ordinati. Vorrebbe devastare, distruggere la vita di chi s’impone perché baldanzosamente ancorato ad un gradino della scala sociale più in alto di te. E gridare come solo gli animali possono fare. Liberi.
Perché se non c’è stato rispetto per la vita del bambino in età puberale, in fondo un bambino divenuto adulto non potrà mai conoscere il rispetto per gli altri. Schiacciato da genitori troppo o troppo poco ingombranti (gli estremi sono la stessa cosa), conoscerà il disprezzo per la vita, secondo le declinazioni dell’odio ossessivo esteriorizzato o l’interiorizzazione depressiva del dramma.

Bruce Banner non ha mai avuto una vita facile.

“La psicanalisi di Hulk”, 1991 – Storia: Peter David / disegni: Dale Kweon & Bob McLeod

- Ma dove credete di andare? [Padre di Bruce]
- Andiamo via Brian, non sopporto più la tua follia, i tuoi sfoghi su Bruce. È finita. [madre]
- Non è finita finchè non lo dico io! [p.]
- Mi stai facendo male! Brian…! [m.]
- Fermo! Sta’ lontano da lei! Farò il bravo! [Bruce]
- Smettila stai spaventando Bruce…AGKKHHH [m. presa per il collo dal padre]
- Tu, donna! Te lo faccio vedere io cosa vuol dire lasciarmi!... [p.]

Così muore nei ricordi del bambino la madre di Bruce, rievocata durante una seduta di psicanalisi.
Il bambino dirà solo “Le emozioni fanno male”. Nessuna lacrima. Chiuso dentro il mostro.
Poco oltre Bruce dirà del padre, rievocato come mostro demoniaco nella psiche: “Eri tu il mostro, papà! Eri pazzo […] e hai ucciso mia madre e io avevo tanta paura…ti arrabbiasti tanto che io vidi cosa provocano le emozioni e… avevo tanta paura d-di essere come te. Così…nessuna emozione, e io…sarei stato al sicuro…e protetto…un tale imbelle...e tanto cattivo, mi dispiace, mamma…”
A tali rivelazioni che dalla coscienza scuotono l’inconscio profondo, il padre da demone torna umano. Come tutti. Spogliato di ogni potere, detronizzato dal regno della paura.
Un essere come tutti gli altri, carne e sangue, ricordo tra i tanti. E come tutti gli umani inutili, anch’egli può essere assimilato, compreso e finalmente dimenticato, per poter riprendere a vivere. Farsi una ragione del conflitto paterno/edipico è la lotta col drago del mondo moderno.

Il film è tutto questo.
Non prendete il pre-quel di Ang Lee. Non ne vale la pena.
Noti i problemi che Norton/Banner ebbe con il regista, ci si poteva attendere il peggio. Non è stato così. Norton voleva più introspezione. La casa di produzione, conscia dell’ultimo flop “psicologico” (?!) con Hulk, voleva andare sul sicuro con più azione. Stallo, parità e palla al centro.

Questo Hulk non è un capolavoro, ma Edward Norton è perfetto, Tim Roth nella parte di Abominio-Emil Blonsky splendido (anche se gigioneggia sulla falsariga di “Un’altra giovinezza”, già recensito in illo tempore: qui e là stesso tema del ringiovanimento). Forse Betty a.k.a. elfo di “The Lord Of the Rings” (anche questo già recensito eoni fa!)+”Io ballo da sola” nonché “mrs. Aerosmith” Liv Tyler appare troppo ingrassata e superflua. Nel ruolo era di gran lunga migliore e assai più credibile Jennifer Connelly nel precedente Hulk, unica cosa salvabile da quell’atroce lungometraggio (anche si deve ammettere che Eric Bana non era pessimo; gli è andata male con il regista).
Tralascio i riferimenti incrociati, il solito cameo di Stan “Excelsior!” Lee, l’apparizione fugace di Lou Ferrigno (sempre uguale; grosso e muscoloso più del magerrimo ed agile Norton), e nell’ultimo pugno di secondi (non andatevene dal cinema! Non spegnete il dvd!) persino Tony Stark alias “Iron Man” ergo Robert Downey Jr. Stanno mettendo su una squadra governativa.
“The Avengers”.
Iron Man, Hulk, Thor, Captain America, Hawkeye, Scarlet, Nick Fury…chi vivrà vedrà…
Il nuovo corso della Marvel al cinema è cominciato. I vecchi film di supereroi sono morti. Lunga vita al nuovo Re!

Scena da appuntarsi (che vale il biglietto): Hulk e Betty, inseguiti dal padre di lei, il generale Ross (un altro conflitto familiare*) rifugiati in un anfratto roccioso durante un temporale. Scoppia un tuono e Hulk, bestia dell’inconscio animale, grida contro il cielo come una divinità greca sconfitta, un titano bestiale, perdente ed imponente. Lei lo vuole calmare, gli parla (può capire la bestia?), lo lenisce con una carezza, alla fine lo convince a stare accanto a lei. L’inconscio è stato lenito nella grotta, utero materno e simbolo di rinascita eterno, dallo spaeleum mitraico alla grotta del Redentore, dall’uscita dei tauroboliati iniziati dei culti misterici ai sogni che nella notte, eterna come solo l’alba dei tempi e il nostro inconscio possono essere, sogniamo credendo di vivere.

*= Un'altra linea-guida per l’analisi del film può essere il puer-senex, il “giovane-vecchio”, non nel senso (più o meno positivo) alchemico o psicanalitico, ma nell’accezione di un genitore, un padre, che non vuole rinunciare alla vita-giovane ed essere superato (spodestato) dal figlio.
Il generale Ross dà la caccia al ragazzo della figlia (Banner), ed Emil Blonsky, che si sente vecchio e inoperoso, vuole superare Banner per dimostrarsi di essere ancora un uomo. La sostituzione del padre al figlio è dannosa per l’uno e per l’altro, ma in particolare per il più anziano dei due. C’è un tempo ed un luogo per ogni cosa, come ci dicevano le protagoniste di “ Pic-nic ad Hanging Rock” (capolavoro micidiale). Sovvertire i termini del Tempo e della Natura provoca scompensi psichici irrimediabili ed irrecuperabili. Di questi tempi, in cui definirsi “vecchio” o “anziano” è un insulto perché significa essere tagliato fuori dal mondo mass-mediatico di eterne figure da pubblicità, in cui essere “giovani” per sempre è l’unico valore possibile (e via lifting, plastiche facciali, palestre, etc…), in cui la carriera inizia a 40 anni e l’università termina a 30/33 anni, in cui il divorzio dei 50 anni sfascia una famiglia –e la vita dei figli, dimenticati in un cassetto– per ricominciare dietro una ragazzina di 25 anni, sentirsi “esperti” di esperienza, saggi e “vecchi” normali nell’animo è un insulto dei più crudeli.
Comunque, foss’anche solo per motivi anagrafici, il figlio è “un nano sulle spalle dei giganti”. Secondo per tempo cronologico, non formato ed inesperto, è già superiore al padre perché piccolo e futuro adulto, che saprà vedere un metro più in là della generazione precedente.
Quello che questi padri-personaggi da film, spesso personaggi reali, dimenticano è che anche loro sono stati giovani, e che il figlio sarà a sua volta anziano. Rispettare i tempi e capire il proprio ruolo in tempo significa rispettare la propria umanità, quella degli altri e il rispetto per il figlio.
I capelli bianchi sono un segno, le rughe il nostro calendario. Accettiamo i giorni e le stagioni: ci accetteremo meglio. La vita non inizia né tantomeno finisce a 50 anni, è solo un altro cambio di età.

C’è abbastanza da pensarci bene e fermarsi un secondo a riflettere.
Hulk è molto più di un fumetto o di un film.


REGIA: Louis Leterrier
ANNO: 2008
GENERE: Avventura; Fumetti
VOTO: 8-
QUANTO SI E’ SFORZATO TIM ROTH PER FAR RENDERE DIFFERENTE EMIL BLONSKY DA DOMINIC MATEI DI “UN’ALTRA GIOVINEZZA”: 4--
CONSIGLIATO A CHI: vuole cancellare “Hulk” di Ang Lee del 2003 [voto: N. C. oppure 2--]