mercoledì 26 agosto 2015

4 PINNE ALL'ORIZZONTE: I MARSUINI

Questa recensione è stata scritta il 23 maggio 2012 e rivista completamente il 26 agosto 2015

 
A rileggere il retro di copertina mi chiedo perché.
Navi che spariscono, giornalisti curiosi, pirateria, turbolenze atmosferiche...niente che mi ispiri fiducia.
I leggendari mostri marini? Si forse quelli possono anche andare, sono attrazioni da baraccone fantascientifico per bambini di 10 anni certo, ma fingiamo che il mio acquisto sia dovuto a questi simpatici mostri e non al meraviglioso titolo italiano: Dove sparivano le navi. Ah beh…potevano chiamarlo direttamente I mostri marini. Seconda pagina, titolo originale: The Sea Beasts.
Ora capisco tutto.
Gli Urania si dividono solitamente in tre categorie:
- I capolavori dei grandi maestri della fantascienza: stampati, ristampati e riristampati in diverse collane Uranianane addirittura con qualche aggiornamento alle scandalose prime traduzioni. Rappresentano un 20% delle uscite;
- I romanzi con idee geniali messe su carta da veri e propri cani della fantascienza (lasciamo stare la Letteratura), incapaci di mettere in fila 10 parole senza dar vita a veri e propri disastri letterari, capaci di far impallidire anche il neosindaco Moccia. Siamo sul 30%.
- Il resto delle grandi scelte della redazione di Urania (non vantatevi quindi di averne trovato e letto uno, non sono una rarità per quanto sia bello collezionare spazzatura) sono i libri come Dove sparivano le navi. Non capolavori. Non grandi idee. Semplicemente libri assolutamente, completamente, immancabilmente da usare, per esser fini, mentre si legge un altro Urania seduti in quello stanzino contenente la doccia. Sul water, che poi magari pensate al bidè o a qualche altro strano aggeggio che avete in bagno.
Dove sparivano le navi è cellulosa rubata alle piante inutilmente, è fantascienza senza scienza, ma anche senza fanta, è romanzo senza alcuna idea, né senso di esistere.
Il romanzo (raccontino) di Bertram Chandler vede comparire nell’ordine balene incazzuse, marsuini (non state a lambiccarvi il cervello per 3 giorni come ho fatto io, sono delfini) intelligenti, giornaliste acidelle che per l’occasione predicano il “sei l’ultimo uomo sulla Terra, quindi ti voglio”, marinai con problemi familiari che si risolvono in rapporti con giornaliste acidelle, macchinisti pelati che tengono sotto schiavitù 5 persone per settimane con una sola pistola, predicatori rimbecilliti che credono nella rinascita di Dio attraverso i marsuini, orche ancor più incazzuse e assassine delle balene e, last but not least, uomini-scimmia intelligenti.
Se non vi basta per starne alla larga pensate ad un delfino con in testa un elmetto sormontato da una spada.
E non voglio dire altro.
Perché alla fantaschifezze non c’è mai fine, ma alla mia pazienza si.

THE SEA BEASTS- DOVE SPARIVANO LE NAVI
ANNO: 1971
AUTORE: A. Bertram Chandler
GENERE: Fantascienza
VOTO: 2

venerdì 7 agosto 2015

NON RICORDARSI


 
Una volta, intorno ai 15 anni, ricordo di aver chiesto a mio fratello (gran lettore all'epoca, ben prima che io iniziassi anche solo vagamente ad appassionarmi alla faccenda) se avesse letto un tale libro. Non ricordo più il titolo, forse si trattava di qualcosa di Benni che mi era stato assegnato come "compito estivo" o forse era tutt'altro, non saprei e sinceramente non ha niente a che fare con ciò di cui vorrei scrivere quindi anche chissenefrega, figurarsi se vado a perdere righe e righe di recensione per dirvi qual era il titolo, che poi mi pare non fosse neanche per le vacanze estive, forse era solo un romanzo che mi ero ritrovato per le mani e quindi gli avevo chiesto se per caso lui l'avesse letto e...stop! Torniamo a noi.
Quel che conta di tutta questa storiella (era un tomo gigante di King?) fu la risposta che mi diede: "Si l'ho letto, ma non ricordo un granchè.." Ecco forse mio fratello non usò la parola granchè, in effetti a pensarci non credo di aver mai sentito nessuno usare molto la parola "granchè” e mi pare strano anche metterla per iscritto dato che word me la sottolinea pure in rosso (ah ma ti sbagli word delle mie palle, sul dizionario esiste e io mi ci riempio la bocca e le pagine di granchè! Granchè granchè, granchè!), comunque il succo era quello, non si ricordava di un libro che aveva letto.
All'epoca mi chiesi come fosse possibile.
Leggevo a dir tanto 4-5 libri l'anno, vaccate horror se la scuola non mi costringeva a prendere in mano Calvino o Benni (magari era di Calvino che gli avevo chiesto..), e mi sembrò semplicemente assurdo che non si ricordasse qualcosa che aveva sicuramente comprato di sua spontanea volontà (perché prima che lui cominciasse a comprar libri ricordo solo il volume coi funghi velenosi in casa) e letto (sorvoliamo sul fatto che io ho letto una decima parte dei libri da me comprati e conoscendo abbastanza mio fratello sono sicuro che anche lui sia afflitto dalla stessa malattia).
Pensai, e ancora adesso un po' ne son convinto nonostante la conclusione lontanissima di questa recensione-delirio, che fosse un modo scaltrissimo per liberarsi di me, non che avesse più 16 anni, ma già all'epoca ero un bel rompipalle se mi ci mettevo (e anche se stavo tranquillo) e non credo che lui avesse sempre voglia di ascoltarmi e annuire e provare a consigliarmi Ben Harper invece di sentire quella porcata di Peace Sells but who's Buying dei Megadeth (statene lontani, maledette enciclopedie musicali della Giunti coi loro consigli strampalati).
Poi arrivò la mia follia per i libri.
Passai da quei 4-5 romanzetti striminziti a 40-50 libri l'anno con dentro qualsiasi cosa mi capitasse per le mani, dal grande classicone sfracella-testicoli dell' '800 all'Urania tradotto male, da King a Yates, Steinbeck, Moore, Martin, Simmons, Barth e chi più ne ha più ne metta.
Per un anno o due, memore di quella risposta, tenni a mente più o meno tutto: forse non ricordavo per filo e per segno ogni cosa passata sotto gli occhi (tipo i libri di chimica o di matematica non ho mai saputo di cosa parlassero), ma conoscevo abbastanza bene tutti i romanzi in cui mi imbattevo.
Infine un giorno la mia mente sovraccarica di minchiate fantascientifiche da 4 soldi e grandi capolavori che quasi non capivo cominciò a vacillare, perdevo pezzi per strada e se mi chiedevi di quel primo romanzo di King letto 4 anni prima facevo davvero fatica anche solo a raccontarlo a grandissime linee. Mi resi conto solo allora che forse mio fratello quel giorno non voleva semplicemente che mi levassi di torno, forse, e dico forse, davvero non si ricordava di quel maledetto libro dal titolo dimenticato.
Per ovviare alla perdita di memoria da accumulo cominciai a scrivere le recensioni dei libri appena finiti finché la cosa non mi procurò più fastidio che piacere: in fondo non avevo un fratello minore a cui raccontarli quindi perché avrei dovuto scrivere tutta quella roba? Per me stesso? Perché in effetti alla fin fine mi divertiva farlo finché non diventava un obbligo?
Forse si.
Oggi, passata una quantità indecente di anni dalla mia prima recensione, mi rendo conto che ancora accumulo i libri finiti sul tavolo in attesa di una recensione, anche minuscola, per sapere di cosa parlano quando ormai li avrò dimenticati (e perché si, mi piace).
Oggi, e questo "oggi" non è in senso figurativo, ma è proprio oggi, 1 agosto 2015, mi ritrovo a scrivere di un libro letto due mesi fa di Steinbeck, un autore che amo follemente e di cui sto provando da anni a leggere tutto quel che ha scritto in ordine rigorosamente cronologico (perché sono matto, ma questo ormai dovrebbe esservi chiaro), senza ricordarmi quasi nulla di quel che stava sulle sue pagine.
Già dal primo racconto mi ero reso conto di avere di fronte una copia sbiadita dello scrittore grandioso di Furore e La valle dell'Eden, nemmeno all'altezza di quei primi piccoli passi che sono La santa rossa e I pascoli del cielo, ma oggi mi accorgo che La valle lunga è davvero ben poca cosa se, a distanza di poco meno di 60 giorni dalla sua lettura, non ricordo quasi nulla di quanto Steinbeck volesse dirmi.
Certo, "La Fuga" e "Il cavallino rosso" potrebbero stare benissimo a fianco di un capolavoro come "Uomini e topi", ma i restanti 12 racconti sembrano davvero essere messi li quasi per caso, raccolti senza un ordine ben preciso (com'era invece in I Pascoli del cielo) sperando in una forza d'insieme che neanche si intravede.
Su quello che viene definito da Steinbeck il suo terzo tentativo di racconto-dramma, Che splendida ardi, in chiusura del tomo, sarebbe meglio sorvolare per non cadere in giudizi impietosi: invecchiato male è la prima e unica cosa che mi viene in mente.
Avrei potuto dirvi molto più semplicemente che de "La valle lunga" ricordo solo i due racconti citati per la bellezza e "Che splendida ardi" per la bruttezza, ma forse nessuno avrebbe capito l'unica cosa che per me ha un senso di tutta questa recensione: quel che non ricordo è inutile (come quel cazzo di libro di cui chiesi a mio fratello).

THE LONG VALLEY- LA VALLE LUNGA
AUTORE: John Steinbeck
ANNO: 1938
GENERE: Racconti
VOTO: 5